Mastoplastica riduttiva

Le mammelle eccessivamente voluminose, o ipertrofiche, sono spesso causa di molto disagio per la paziente, che si sente spesso “sotto esame” e limitata, se non impossibilitata, all’attività sportiva; sono anche causa di numerosi problemi funzionali, potendo condurre a vere e proprie patologie croniche; spesso sono presenti fenomeni di irritazione, abrasioni e piaghe cutanee conseguenti a fenomeni di macerazione. L’effetto dell’ipertrofia mammaria sullo scheletro è ben documentato: i sintomi includono importanti strappi al collo, cefalee, spalle doloranti e dolore lombosacrale; si possono, inoltre, verificare problemi di postura, con cifosi ed artrite della colonna vertebrale.

La maggior parte delle pazienti che richiedono un intervento di mastoplastica riduttiva hanno attentamente vagliato la loro decisione prima di rivolgersi al chirurgo plastico. L’età delle pazienti varia dall’adolescenza alla postmenopausa. Sebbene la maggior parte delle donne si indirizzi alla chirurgia per la sensazione di dolore e disagio fisico, non vi è dubbio che anche motivazioni estetiche abbiano grande importanza nella scelta, che pertanto viene definita da fattori sia di ordine fisico che psicologico.

L’intervento di riduzione del volume della mammella (o mastoplastica riduttiva) produce notevoli miglioramenti funzionali ed estetici.

Le soluzioni chirurgiche sono molteplici, in relazione al grado di ipertrofia, e comportano una cicatrice intorno all’areola e un’altra verticale; nei casi più gravi a queste cicatrici bisognerà aggiungerne una orizzontale, comportando, quindi, una cicatrice a T capovolta.

L’intervento si esegue in anestesia generale e prevede una notte di degenza in clinica; normalmente non sono necessari drenaggi e il dolore è poco significativo. All’inizio è necessario portare un reggiseno contenitivo sportivo e per circa un mese non si deve praticare attività sportiva.

La mastoplastica riduttiva è una procedura piuttosto comune in chirurgia plastica. Le ragioni principali che spingono una donna a sottoporsi all’intervento chirurgico includono dolore alla schiena, al collo e alle spalle. Questi aspetti fisici, insieme con i disagi psicologici che la condizione comporta, riducono di molto la qualità di vita delle pazienti. È esperienza comune che l’intervento di mastoplastica riduttiva sia capace di portare sollievo alla schiena delle pazienti, insieme con una maggiore facilità nel compiere gesti della vita quotidiana. Fino a poco tempo fa esistevano solo queste sensazioni soggettive delle pazienti, senza dati oggettivi. Recentemente, sono stati studiati anche questi ultimi, mettendo in luce dei risultati molto interessanti.

Sono stati, infatti, riscontrati importanti variazioni nel pre e post-operatorio, che possiamo così riassumere:

  • Riduzione del 35% delle forze compressive sulla colonna lombo-sacrale
  • Riduzione degli angoli di cifosi toracica e lordosi lombare nel post-operatorio
  • Cambiamenti del baricentro della paziente
  • Riduzione dell’attività dei muscoli dorsali, con diminuzione dei fenomeni di contrattura muscolare (come documentato da esame elettromiografico)

La mastoplastica riduttiva comporta notevoli miglioramenti di affezioni muscolo scheletriche, soprattutto a carico di schiena, spalle e collo. 

Uno studio pubblicato sulla rivista Plastic and Reconstructive Surgery ha messo in luce la relazione tra la mastoplastica additiva e il miglioramento della cefalea muscolo-tensiva. In questo studio furono valutate 84 pazienti che si erano sottoposte a mastoplastica riduttiva; di queste, il 70% (58 pazienti) riferiva mal di testa. Dopo l’intervento chirurgico, la metà di queste ultime pazienti riportò un netto miglioramento nella severità e nella frequenza dei sintomi della cefalea e 12 mostrarono un’ assoluta scomparsa.

Questo studio ha messo in luce come donne con gigantomastia affette da cefalea muscolo-tensiva possano avere un significativo miglioramento (fino anche alla completa scomparsa) dei loro sintomi. 
La cefalea trova spiegazione nel peso eccessivo delle mammelle che costringono ad una postura proiettata in avanti, accompagnata spesso da una vera e propria contrattura muscolare a carico dei muscoli della nuca, ma anche nella compressione dei grandi nervi occipitali che fuoriescono da sotto la base cranica. Tali nervi sono stirati, compressi e infine irritati e rendono conto della cefalea a partenza 
occipitale.


Ducic I et al Chronic headaches/migraines: extending indications for breast 
reduction. Plast Reconstr Surg. 2010 Jan;125(1):44-9

Quasi tutte le forme di addominoplastica prevedono una resezione del tessuto posto inferiormente all’ombelico, con posizionamento finale della cicatrice dentro la biancheria. La tecnica classica dell’addominoplastica è molto efficace in quanto la maggior parte dei pazienti presenta lassità cutanea e smagliature nella metà inferiore dell’addome.

Tuttavia, esistono soggetti che presentano moderata o severa lassità sovraombelicale, in assenza di lassità sottoombelicale e di smagliature. La resezione dell’eccesso sovraombelicale è, in questi pazienti, l’unico modo per garantire un adeguato profilo addominale. Ciò avviene posizionando la cicatrice all’altezza del solco sottomammario dove risulta, pertanto, nascosta dal reggiseno. L’addominoplastica reversa si può anche combinare con altre procedure, prima fra tutte con interventi al seno (sia con protesi che non), in quanto le due metodiche hanno in comune la stessa localizzazione della cicatrice. Anche una torsoplastica può essere condotta contestualmente: si tratta del cosiddetto “bra lift” che consente di rimuovere il tessuto in eccesso dal dorso (non correggibile altrimenti neanche con la belt lipectomy) facendo cadere la cicatrice in una sede che possa essere nascosta dal reggiseno.

Ulteriore vantaggio dell’addominoplastica reversa è rappresentato dal fatto che l’ombelico non deve essere isolato e reinserito, in quanto la resezione superiore del tessuto ne consente il miglioramento estetico, senza necessità di aggiungere altre cicatrici.

Fino agli anni 50 la tecnica di mastoplastica riduttiva più comunemente usata era quella di Biesemberger (1928), che si basava sul distacco della cute dalla ghiandola su tutti i quadranti e la riduzione mediante asportazione di un cuneo di tessuto. La successiva riduzione della cute in eccesso conduceva ad una cicatrice a T capovolta. Le complicanze di questa tecnica erano soprattutto dovute all’ importante vascolarizzazione della mammella, per cui vennero messe in atto tecniche nuove: Ariè (1957), con asportazione di un cuneo verticale di cute e mammella; Pitanguy (1964), con asportazione dell’eccesso cutaneo sia verticale che orizzontale, con cicatrice a T. Tutte queste tecniche avevano in comune il fatto che l’areola veniva portata in alto, nella sua posizione ideale, servendosi di vasi che provenivano dall’alto della mammella. Nel 1960 Strombeck propose, invece, una tecnica con vascolarizzazione laterale e mediale (quindi bi-peduncolata) dell’areola. Con queste tecniche, tuttavia, spesso la trasposizione dell’areola risultava piuttosto difficile e non erano infrequenti problemi vascolari. La tecnica di Skoog (1963) prevedeva, invece, un solo peduncolo, mediale o laterale, molto sottile con ampie possibilità di movimento. La tecnica di Mc Kissock (1972) è stata per anni quella più usata in caso di riduzioni molto importanti, essendo estremamente affidabile per garantire un idoneo apporto ematico all’ areola. La tecnica a peduncolo inferiore, evoluzione della tecnica di Mc Kissock, è molto sicura per quanto riguarda la traslocazione a lunga distanza dell’areola ed è adatta alla correzione di mammelle ptosiche e ipertrofiche. La tendenza degli ultimi anni è verso tecniche che consentono di ridurre, quanto più possibile, le cicatrici esterne. Tra le ultimissime tecniche proposte ricordiamo quella di Hammond, o SPAIR mammaplasty, che prevede una cicatrice finale a forma di J.

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